Il mondo del caffè tra ripresa dei consumi e cambiamenti climatici

Paiono scomparse le ombre sul settore del caffè, che oggi vede una ripresa dei consumi, sia domestici che fuori casa. Importante in particolar modo la crescita dei formati monodose, trainata dalle capsule. Permane qualche preoccupazione per la parte a monte della filiera, minacciata da cambiamenti climatici sempre più imprevedibili.
Articolo a cura di Riccardo Ceredi 

Un mercato che nel 2022, secondo i dati divulgati da Globe Newswire, ha sfiorato i 500 miliardi dollari di valore con un tasso di crescita congiunta del 5,76% all’anno, che porterà il comparto a valere 652 miliardi nel 2027. Numeri a dir poco lusinghieri, che ci regalano la fotografia di un settore in salute, o comunque in ripresa dopo le difficoltà dell’ultimo biennio. 

Il mondo del caffè è stato infatti colpito in maniera determinante tra il 2020 e il 2022: dapprima dalla pandemia, particolarmente nei settori Ho.Re.Ca. e GDO, e poi dalla crisi energetica, che aveva portato alcune torrefazioni a sospendere la produzione per far fronte ai costi dell’elettricità. 

Oggi l’emergenza sanitaria è superata e la crisi energetica morde meno rispetto all’anno scorso, fattori che hanno contribuito a riportare la produzione e il consumo di caffè (quasi) ai valori pre-pandemia. La ripresa del settore va però al di là dei numeri: aumenta infatti a livello globale la consapevolezza degli effetti benefici legati al consumo di caffè, frutto di mirate campagne di informazione e promozione. In crescita inoltre l’attenzione dei consumatori verso la sostenibilità della filiera, anche se permane in maniera piuttosto marcata la differenza tra paesi produttori e consumatori. 

Coltivato all’equatore, bevuto in tutto il mondo (soprattutto in Europa) 

Il caffè resta una delle bevande globalmente più apprezzate. Le specie coltivate su grande scala sono tre: arabica, robusta e liberica, tutte diverse per gusto e contenuto di caffeina. La specie che è stata usata per prima è l’arabica, una pianta originaria dell’Africa Orientale, i cui semi hanno un contenuto di caffeina molto inferiore a quelli delle altre specie. Un’altra specie molto coltivata è la robusta (o Coffea Canephora), originaria dell’Africa tropicale, che è molto adattabile e più facile da coltivare. Attualmente, le coltivazioni di caffè sono diffuse prevalentemente nei paesi dell’America, nell’Africa sub sahariana, nell’India meridionale e nel sud-est asiatico. L’Europa è invece l’area dove il caffè viene maggiormente apprezzato e bevuto, con la Germania che si colloca ai vertici del consumo pro-capite mondiale presentando una crescita annuale che, secondo le stime dell’ICO (International Coffee Organization) si attesta al 3,7%, contro una media mondiale del’1,9%. Anche il nostro paese ha un ruolo centrale nel settore del caffè, sia come mercato di riferimento che come sede di alcune delle più importanti torrefazioni del mondo. Secondo i dati del Comitato Italiano Caffè, l’Italia è infatti il terzo paese al mondo per l’importazione di caffè verde – dopo USA e Germania – e, soprattutto, è il secondo paese della UE per i volumi di export di prodotto torrefatto. Sono circa un migliaio le aziende legate al settore sparse in maniera equa su tutte le regioni, con una occupazione stimata intorno alle 7.000 unità e un giro d’affari attorno ai 4 miliardi di euro, di cui circa 1,5 miliardi derivanti dalle vendite all’estero. 

Un equilibrio minacciato dai cambiamenti climatici 

Facciamo un passo indietro e torniamo a guardare ai paesi dove “l’oro nero” è coltivato, raccolto e poi esportato. La produzione mondiale di caffè nel biennio 2020/2021 si è attestata a 175 milioni di sacchi da 60 kg, contro i circa 165 milioni del biennio 2019/2020 (fonte: Statista). Un aumento non particolarmente rilevante che, anche alla luce dei dati di produzione dei bienni precedenti, conferma un andamento tutto sommato stabile. Si tratta però di un equilibrio sempre più precario, in grado di essere messo facilmente a repentaglio. È in particolar modo il clima a preoccupare il settore, con le conseguenze del riscaldamento globale che delineano una situazione di sempre maggiore instabilità.

Per esempio, tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 il Brasile, uno dei principali paesi produttori di varietà Arabica e, in assoluto, il principale esportatore di caffè (copre da solo il 40% della produzione mondiale) ha subito dapprima una serie di gelate e poi un periodo di siccità, cosa che ha avuto riflessi non tanto sull’approvvigionamento, quanto sul costo della materia prima. I cambiamenti climatici hanno un duplice effetto negativo: da un lato vanno a colpire la parte più debole e tecnologicamente meno sviluppata del comparto, ossia quella dedicata alla coltivazione e alla raccolta, dall’altro hanno una ricaduta a cascata su tutto il resto della filiera. Anche in questo contesto è insomma fondamentale puntare il faro sulla prevenzione e sull’impiego di politiche sostenibili a 360°. 

La sostenibilità come strategia a tutto tondo 

Il concetto di sostenibilità infatti non si lega soltanto all’impiego di tecnologie e materiali green, ma si estende a un ambito molto più ampio, andando a coinvolgere i processi di coltivazione, raccolta e asciugatura, che devono avvenire all’insegna di condizioni lavorative accettabili. Le principali torrefazioni aderiscono quindi a protocolli che certificano la congruità di tali processi, come la certificazione UTZ, che garantisce che il caffè venga coltivato in piantagioni dove viene fatto un uso appropriato di sostanze agro-chimiche, in cui i lavoratori e le loro famiglie vivono in alloggi decorosi, hanno diritto ad assistenza sanitaria, scuole ed istruzione. Questo non toglie che anche il tema più strettamente “green” sia molto sentito, particolarmente nella parte a valle della filiera. 

In questo contesto, le tecnologie e la richiesta di innovazione si sviluppano prevalentemente attorno a temi quali l’impiego di packaging compostabili e la ricerca di materiali per il confezionamento meno impattanti. Parliamo dell’uso di confezioni quali pouch – tipicamente impiegate per il confezionamento di caffè in polvere o grani – realizzati in monomateriali o dell’impiego di film compostabili. Il paper wrapping per esempio è una delle tecnologie di frontiera, ma presenta attualmente troppe criticità dovute alla resistenza ridotta del materiale e alla scarsa capacità di garantire un’adeguata shelf-life. Al centro dell’attenzione, dati anche i volumi di consumo, restano soprattutto le capsule, in particolar modo quelle riciclabili e compostabili.

Punti di contatto e differenze 

La strada della riciclabilità viene sostenuta prevalentemente dai brand che hanno investito nello sviluppo di sistemi che impiegano capsule in alluminio; una soluzione che è facilmente smaltibile e riciclabile ed è in grado, a patto di contare su adeguate infrastrutture per il recupero e per il riciclo, di rendere la filiera più sostenibile. La capsula compostabile è una soluzione ancora più avanzata, in grado di garantire una dispersione nell’ambiente senza danni per l’ecosistema. Oggi però, non tutti i produttori di capsule sono in grado di offrire alle torrefazioni soluzioni ottimizzate, particolarmente nel caso dei formati più complessi. È necessaria però una specifica: spesso si parla di capsule in termini di formato, meno frequentemente le si identifica per materiale e tipologia, fattori che vanno ad influire sulle caratteristiche di sostenibilità delle stesse. A latere dei vari formati attualmente in uso (tra i più diffusi possiamo citare Nespresso, Keurig e Dolce Gusto) possiamo identificare tre principali tipologie di capsule diffuse oggi sul mercato: alluminio, capsule in materiali bio-compostabili e quelle plastiche multistrato/ riciclabili. Ciascuna presenta specifici vantaggi e svantaggi. Vediamoli nello specifico. 

Tre tipologie per diversi trend di mercato 

La capsula in alluminio è la più richiesta sul mercato: ha una shelf life prolungata e offre una completa riciclabilità, risultando quindi anche una soluzione sostenibile, pur richiedendo particolari processi di smaltimento, di cui non tutti i mercati dispongono.

Le capsule compostabili rappresentano la vera e propria frontiera dell’innovazione. Hanno la capacità di degradarsi nel tempo trasformandosi in compost e negli ultimi anni hanno goduto di una crescita esponenziale, in risposta ai desideri di consumatori. Sono caratterizzate da costi di produzione più elevati rispetto a quelle tradizionali, cosa che rappresenta un maggior esborso per le torrefazioni e - solitamente - si riflette sul prezzo di vendita per il consumatore. Sono inoltre caratterizzate da una shelf life leggermente inferiore alle soluzioni in alluminio, in quanto il materiale può deteriorarsi a seguito di shock termici o di periodi di prolungato stoccaggio in contesti umidi. 

La capsula riciclabile, solitamente in polipropilene, rappresenta infine un compromesso tra le esigenze di “marketing green” dei torrefattori e l’effettiva capacità della capsula di non impattare sull’ambiente. Possono essere una soluzione sostenibile ma richiedono una maggior attenzione da parte del consumatore finale. Hanno infine un costo produttivo inferiore alle soluzioni in ALU o compostabili e possono avere caratteristiche di barriera o meno.
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