Cosa significa ritornare in presenza per un evento come Ipack-Ima?
Dopo 4 anni di attesa la parola che è stata pronunciata più frequentemente tra gli stand è stata “finalmente!”. Tutte le persone con cui ho avuto modo di parlare in fiera erano entusiaste di potersi incontrare di nuovo e, in particolare, di poterlo fare a Ipack-Ima. Oggi siamo sempre più consapevoli che il marchio Ipack-Ima gode di grandissima considerazione presso gli operatori del settore, in Italia ma anche all’estero, forse addirittura più di quello che immaginavamo.
Come avete lavorato in questi anni per preparare l’evento?
In questi anni abbiamo cercato di non mollare mai e di non perdere fiducia in quello che stavamo facendo, perché ci credevamo moltissimo. Questo è un primissimo step di quello che può fare IPACK-IMA. Con la nuova calendarizzazione, che con il mantenimento della cadenza triennale ci porterà a IPACK-IMA 2025 (27-30 maggio), si creerà un’alternanza più equilibrata con altri eventi internazionali dai quali ci dovremo distinguere con un'offerta di contenuti sempre più innovativi.
Negli ultimi anni l’innovazione passa sempre di più dai materiali e dalla digitalizzazione e crediamo che in Europa ci sia spazio per crescere per tutti gli appuntamenti fieristici, senza crearne di nuovi. La nostra missione è produrre eventi per il mercato e la nostra filosofia è costruire relazioni, soprattutto a livello internazionale.
In fiera ho parlato con persone provenienti da tutto il mondo e posso dire che hanno vissuto Ipack-Ima 2022 come l’avevamo in mente. Gli espositori hanno lavorato molto sulle soluzioni da proporre agli stand.
Da parte nostra abbiamo cercato di offrire spunti interessanti come l’Ipack-Ima digital, il Packaging Speaks Green e la serata di assegnazione del Worldstar Awards di WPO – World Packaging Organisation.
Abbiamo raggiunto ottimi risultati ma sono dell’idea che si possa e si debba sempre migliorare. Dobbiamo sempre più diventare promotori di innovazione, aiutare le aziende a comunicare l’innovazione, allo stand ma non solo.
Se devo fare un bilancio sulla fase organizzativa, dunque, le parole che mi vengono in mente sono paura, incertezza, duro lavoro, mentre durante la fiera abbiamo avuto la soddisfazione di raccogliere i frutti di un percorso fatto che ci ha portato a ottimi traguardi, in particolare se guardiamo alle presenze dall’estero.
L’internazionalità è sicuramente un aspetto su cui avete sempre puntato e che si è rivelato vincente?
Le aspettative erano state un po’ limitate dalle conseguenze della pandemia e dagli ultimi avvenimenti geo-politici. Sicuramente l’assenza dei visitatori provenienti da Paesi come Russia, Ucraina e Cina si è fatta sentire ma siamo riusciti comunque a creare ottime relazioni. Abbiamo per esempio ospitato una giornalista ucraina e, pur avendo poco tempo a disposizione e con tutte le difficoltà già citate, siamo riusciti a consolidare alcune relazioni che si erano inevitabilmente allentate.
Le relazioni internazionali sono state il presupposto per ottenere ottimi risultati a livello di presenze di visitatori dall’estero. Naturalmente l’assenza di alcune presenze espositive internazionali ci ha un po’ penalizzato, ma questo è stato compensato dalla grande voglia di tornare in fiera per ritrovare quello che noi chiamiamo “human factor”, che, soprattutto in un business come il nostro, ha ancora una sua importanza.
Abbiamo visto espositori e visitatori che si sono detti emozionati dal ritorno in presenza in fiera e questo ovviamente ha emozionato anche noi. Non dobbiamo mai dimenticare che il business e le aziende camminano sulle gambe delle persone e noi abbiamo la fortuna di lavorare con aziende di riferimento, dalle più piccole alle più grandi, aziende che sanno cosa vuol dire innovare, stare sul mercato. Alcune si sono ritagliate la loro nicchia o lavorano in una logica di filiera. Ci sono aziende che erano alla loro prima partecipazione e che hanno espresso un giudizio più che positivo, perché in un solo colpo hanno incontrato clienti, lead e fornitori.
L’approccio collaborativo si rivela vincente a livello di business e la fiera dovrebbe rappresentare proprio questo aspetto.
Pensando all’organizzazione della fiera e al suo svolgimento, di cosa può dirsi particolarmente orgoglioso?
Di tante cose ma una su tutte è la capacità che abbiamo avuto di voler rischiare e rompere gli schemi, anche all’interno della nostra organizzazione aziendale. Paradossalmente in questo il Covid ci ha aiutati: alcune solide certezze sono crollate in un lampo e, senza panico, ci siamo allenati a fare esercizi di visione, a tutti livelli. Per me il team rappresenta non solo i dipendenti della società, ma è un gruppo allargato che comprende colleghi di Fiera Milano e di Ucima, i numerosi partner con cui collaboriamo, la stampa e con tutti abbiamo condiviso la fiducia in quello che stavamo facendo e nella possibilità di osare.
Abbiamo messo in campo un approccio sistemico, collaborativo, perché crediamo tantissimo nella sinergia, anche tra eventi fieristici concorrenti. Siamo particolarmente contenti di aver portato a Milano un evento come Pharmintech, che rimane di proprietà di Bologna Fiere ma con cui abbiamo creato una sinergia importante, che porta vantaggi a tutto il sistema chimico-farmaceutico. Crediamo che questa sia la strada giusta da seguire, anche guardando al futuro.