Alimenti contenenti probiotici, un'etichetta per riconoscerli

L’Ue vieta di indicare la presenza di organismi vivi negli alimenti ma l’ammette per i detergenti. Una norma che penalizza la ricerca e l’innovazione da parte dell’industria e impedisce di informare correttamente il consumatore. Ma ora qualcosa si sta muovendo e l’Italia fa scuola.
Quale consumatore europeo non vorrebbe poter sapere immediatamente, leggendo l’etichetta di un alimento, se contiene "batteri probiotici" considerati i molteplici effetti salutistici collegati a questi preziosi microorganismi? Eppure oggi questa semplice informazione resta un tabù. Dal 2012 la normativa Ue sui claim nutrizionali e salutistici vieta di evidenziare la presenza di probiotici sulle confezioni o nella pubblicità di un prodotto alimentare. Per di più, poiché gli effetti dei probiotici sono ceppo-specifici (ossia sono diversi per ogni ceppo batterico), per evidenziarli in etichetta è necessario ottenere un’autorizzazione all’uso da parte dell’Efsa (European Food Safety Authority) come “indicazione salutistica“. Un paradosso normativo pesante per le aziende alimentari che producono yogurt e latti fermentati: come sottolinea Assolatte, questo contesto limita gli investimenti in ricerca, frena l‘innovazione di prodotto (così importante per la salute) e impedisce una corretta informazione ai consumatori delle caratteristiche di questi alimenti e di queste bevande.

Assolatte – a cui aderiscono le aziende italiane produttrici di alimenti probiotici - è impegnata per trovare una soluzione a questa situazione di stallo. Assolatte è infatti promotrice di un “dossier“ che ha riaperto il dialogo sul tema con le istituzioni di Bruxelles e quelle degli Stati membri per arrivare a una soluzione comunitaria  dei termini “batteri probiotici” e “probiotici”.

In ambito comunitario, l’esperienza di riferimento è quella italiana.
L’Italia è stata infatti il primo Paese europeo, agli inizi del 2000, ad aver adottato delle “Linee guida sui probiotici” che fissano le condizioni per l’utilizzo di questo termine entro i confini nazionali, sia nei prodotti alimentari che negli integratori. Considerato positivo ed efficace, ora il modello italiano è diventato un benchmark in Europa, tanto che Assolatte ha chiesto alla Commissione Europea il riconoscimento del termine “probiotico” come descrittore generico dei microrganismi aggiunti ai prodotti lattiero-caseari e agli integratori.

L’obiettivo è duplice. Da un lato, arrivare a stabilire le caratteristiche che un alimento o un integratore devono possedere per potersi definire “probiotici”, dall’altro dare un’informazione corretta e immediata al consumatore.
Per Assolatte raggiungere questi obiettivi è fondamentale per rilanciare la ricerca e l’innovazione riguardo l’impiego dei probiotici nei prodotti alimentari e favorire la ripresa dei consumi a livello comunitario allineando l’Ue a quello che sta accadendo nel resto del mondo, dove il mercato dei probiotici è in costante crescita.

Secondo le stime di Assolatte su dati Euromonitor, il mercato degli alimenti probiotici è cresciuto del 12% negli Stati Uniti, del 7% in Sudamerica, dell’11% in Asia e del 4% in Medio Oriente, mentre in Europa è calato dell’8%.
Le previsioni stimano che il segmento più rappresentativo, quello degli yogurt e dei latti fermentati con probiotici, segnerà in Europa un -9% nel quinquennio 2013-2018 mentre a livello mondiale registrerà un clamoroso +34%.
Stando così le cose, il rischio è che di questo boom si avvantaggeranno solo i produttori e i consumatori extra-europei.

L’impegno di Assolatte per risolvere la situazione sta dando i primi frutti: la Direzione generale Santé della Commissione Europea considera ora prioritario riaprire il dibattito sul tema probiotici e raggiungere una soluzione condivisa a livello europeo, mentre l’Efsa ha già avviato una revisione delle linee-guida che le aziende devono rispettare per presentare le domande di autorizzazione dei claims salutistici.
Fonte: Assolatte
Enti e associazioni: ASSOLATTE