Caffè e prodotti solubili: un mercato sempre più globale, trainato dai marchi Italiani. Male la moka, bene le capsule: nell’ultimo anno, secondo i dati divulgati da Iri, le vendite di caffè in Italia hanno subito una contrazione tra il 2 e il 16%, eccetto le vendite di caffè porzionato (che hanno raggiunto i 200 milioni con una crescita sull’anno prima del 21,3%). In ambito globale, il consumo dell’ “oro nero” è in costante crescita, e si moltiplicano i modi di consumarlo, con modalità che vanno sempre più allontanandosi dalla tradizionale “tazzulella”. Da un lato quindi, è vero che il mondo del caffè parla sempre meno italiano, basti pensare che il principale mercato è rappresentato dagli Stati Uniti, con un valore stimato di circa 15 miliardi di dollari all’anno. D’altra parte il nostro paese, al di là della sua importanza - comunque considerevole - come bacino di vendite, ospita tuttora buona parte dei big player del settore. Parliamo di aziende quali Illy, Kimbo, Lavazza e Segafredo, forti di una tradizione di lungo corso nel caffè, che nell’ultimo decennio, sull’onda dell’affermazione del sistema Nespresso e della successiva liberalizzazione del mercato, hanno deciso di adottare strategie per competere nell’ambito specifico del porzionato in capsule, sviluppando sistemi proprietari o ricorrendo ad alleanze strategiche. Accanto a tali realtà, esiste il “mare magnum” dei piccoli e medi torrefattori che commercializzano soluzioni compatibili e spesso trovano il loro punto di forza nel legame col territorio, facendo magari leva su una reputazione consolidata nella preparazione e nel commercio “artigianale” del caffè.
Come supportano il settore i distretti industriali italianiSe è vero che dal punto di vista della presenza di torrefazioni l’Italia non gode più di un primato esclusivo, il discorso è differente per quanto riguarda le tecnologie per il confezionamento, dove il nostro paese - sede delle più importanti aziende produttrici di macchine automatiche - è tutt’oggi espressione delle più evolute soluzioni disponibili sul mercato. Non si tratta solo della nostra nota e consolidata tradizione meccanica, che rende l’Italia la “capitale” mondiale del packaging, ma anche di un interessante fenomeno di trasferimento tecnologico di cui i costruttori italiani hanno beneficiato negli ultimi anni. I rapporti commerciali con le più importanti realtà mondiali attive nell’ambito della torrefazione e della commercializzazione di caffè e di prodotti solubili, hanno infatti consentito un ulteriore affinamento delle tecnologie di confezionamento da parte delle nostre aziende. Si tratta di un know how prezioso, che va dalle conoscenze sui materiali per il confezionamento e sulla loro relazione col prodotto a conoscenze sulle proprietà intrinseche dello stesso (ad es. come reagisce a fattori quali l’ossigeno, l’umidità…) che sono in grado di fare la differenza tra confezionare un solubile di buona o scarsa qualità. Questo, fa un’enorme differenza su come un brand viene percepito dal consumatore finale a maggior ragione se si pensa che, anche in questo caso, parliamo non soltanto di caffè, ma di una vastissima gamma di prodotti, che vanno dal tè, al ginseng, passando per una serie amplissima di tisane con caratteristiche e gusti differenti. In pratica, si può dire che il rapporto tra i grossi torrefattori e le aziende costruttrici di macchine automatiche è una “win win situation”.
Inoltre, la flessibilità tipica dei costruttori italiani di macchine automatiche ha contribuito ad offrire una serie di riposte adeguate a differenti tipi di esigenze, laddove costruttori di altre nazionalità, prevalentemente tedeschi, pur potendo offrire prodotti tecnologicamente ai vertici, peccavano con un’offerta esclusivamente dedicata a grosse torrefazioni, offrendo impianti spesso sovradimensionati rispetto alle reali necessità del mercato.
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